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Dopo la maturità si viaggia, è un diritto.
Lo dice Marco Paolini in Aprile 74-75, uno dei suoi Album, ed è vero. Per almeno un decennio partire, per una bella fetta di popolazione giovanile, significava una cosa sola: interrail. Non ci voleva molto, uno zaino con quattro fesserie, un sacco a pelo, il magico biglietto ferroviario che permetteva infiniti viaggi sui treni di seconda di tutta Europa, e naturalmente tanta voglia di vedere cosa c’era fuori dall’orticello di casa nostra, di conoscere gente nuova, posti nuovi, modi di vita diversi.

Era come muovere dalla periferia in cui si era relegati verso il centro vero e pulsante del mondo, verso le piazze più splendide e raggianti delle città e delle capitali, dove la vita si vive sul serio e non scorre soltanto.
Dopo la maturità si viaggia, soprattutto per sancire un momento importante, la conquista dell’età adulta, la capacità raggiunta di esplorare i territori limitrofi.
Ma naturalmente c’è dell’altro, c’è una forte volontà di confrontarsi con quel resto dell’umanità che ci ignora e che noi ignoriamo, c’è la voglia di sapere se e quanto sono diversi da noi. È la sempiterna compulsione al viaggio, all’andare, che da sempre vive e ruggisce all’interno dell’uomo, e lo spinge a partire, nonostante tutto.
Il viaggio – è scritto nel libro – non è una vacanza. Il viaggio è l’opposto della vacanza e quindi deve essere ordinatamente disorganizzato. La vacanza e il viaggio organizzato sono così noiosi.
Il bello sta tutto lì, basta averne voglia, basta volerlo, basta partire.

Leggi la prefazione

 

In alexanderplatz come in piazza del duomo

Domenico Scrivano

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120 pagine b/n

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2009

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isbn 978-88-95073-10-1

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€ 7

 

"Tutto quello che ho imparato sulla vita l'ho saputo dal calcio" Albert Camus

Quella di Domenico non è, non vuole essere, “letteratura”. Chi leggerà questo libro, ci auguriamo in molti, si accorgerà agevolmente di trovarsi davanti non un professionista della scrittura che magari vuol farsi carico dello smarrimento di una città o di una generazione, o di un “Autore” che come tale deve confrontarsi con “l’imprescindibile”, con “l’ineluttabile”, con “un prima e un dopo”. Niente di tutto ciò, per fortuna. I lettori rintracceranno i segni evidenti di una attività sociale, una scrittura volontaria che si confronta con la «nuova città». Cosa sta accadendo? Perché sta accadendo? Come sta accadendo? Questo è a ben vedere quello che si chiedono tutti i personaggi del racconto. Ciroma ed Edizioni Erranti ritengono che negli ultimi 15 – 20 anni nella nostra città è accaduto qualcosa di straordinario e che Domenico abbia voluto provare a trovare le parole giuste per raccontare, narrare questa “eccedenza” di comportamenti sociali, politici e culturali. Molto altro c’è da fare, altre parole dovremo trovare che potranno dare forma a questa azione collettiva del racconto della città. Che non è un campo neutro ma di conflitto e scontro sull’immaginario. Molte parole attraversano lo spazio e il tempo cosentino, ma perlopiù  esse appartengono ai rituali politico-mediatici: “il modello Cosenza”, “l’Atene della Calabria”, “il laboratorio Cosenza” e compagnia cantando. Frasi che colgono sicuramente aspetti dei mutamenti in corso ma nello stesso tempo dichiarano una appartenenza di vocabolario alla loro grammatica, praticamente una pochezza per rappresentare qualcosa di più grandioso e di più minuto nello stesso tempo. Nella scrittura di Domenico, al contrario, vi sono le nostre vite, le nostre singolari e irriducibili vite e la lingua che parliamo e che ascoltiamo. Qualcosa che è prima della politica, dell’economia, e che va ben oltre. Domenico ha ascoltato, imparato suoni e lingua prima di scrivere e mentre scriveva. Le pagine che si leggono è come se innescassero dei dispositivi tali da mettere in contatto e ritrovare parole e luoghi nella/della vita di ciascuno di noi (le trasferte, le piazze, la curva), nelle storie dei luoghi e degli individui di questa città. Domenico cerca, come tutti noi, dei meccanismi, delle tecniche, uno stile, una lingua per narrare la città. Quello che non dobbiamo permettere è che qualcuno, qualcosa «ce la racconti» questa città. Perché se qualcuno, qualcosa costruisce il vocabolario della nostra città finisce con l’espropriarci d’essa, con il raccontarci le nostre vite. E questo possiamo impedirlo solo se ne accettiamo la sfida, se accanto alle tante lotte, fatte di gesti, di pensieri, di incontri, di azioni, aggiungiamo quella della riappropriazione della parola e della scrittura. La sfida di raccontare noi la nuova città, la nostra vita. Infine il calcio. Radio Ciroma è nata anche nella curva, perciò, utilizzando Camus, ci limitiamo a dire che “tutto quello che sappiamo nella vita l’abbiamo imparato dal calcio”.

Gallery presentazione

 

 In Ginocchio Mai

Domenico Scrivano

 

 
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112 pagine b/n

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2009

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isbn 978-88-95073-02-6

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€ 7

In una piccola città, che forse casualmente si chiama Cosenza, si muovono, leggeri come le storie che vivono, personaggi buffi e stralunati come Compà Victor, il Secco, Omino Bianco, evocati tra il divertito e il malinconico dalla voce narrante del quarto protagonista che ostinato si rifiuta di dirci il suo nome. Storie come tante, semplici e dirette in cui certo sarà facile identificarsi. Storie senza tempo rabbiose, ironiche, divertite, legate al vagare della memoria dell'autore nellosciagurato ventennio appena trascorso che poi è quello della sua adolescenza e giovinezza. Storie d'amore e d'amicizia, di sesso e di viaggi, di disperazione e forse di morte, con un unico filo conduttore, quello della grande passione che lega i protagonisti alla propria squadra del cuore. Cucito con il gusto della citazione, ricco di riferimenti riconoscibilissimi, il testo scorre veloce mantenendosi giustamente distante da ogni retorica, cercando di essere quello che in fondo è: appunto, forse solo un racconto