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“Abbiamo bussato e siamo entrati, in quello spazio desolato e semiabbandonato del Polifunzionle, c’erano due impiegati, computer accatastati, un’emeroteca. I cubi erano ancora in costruzione, ma molti dipartimenti si erano già trasferiti. Quello spazio così bello, con le vetrate che dominano l’Orto botanico, era un deposito. Noi lo immaginavamo diverso, un po’ come oggi (il Dam), un luogo di incontro e socialità, di studio e di autoformazione, di informazione indipendente e di produzione culturale per la comunità universitaria e il territorio. Quella idea l’abbiamo praticata da subito, con curiosità e voglia di sperimentare.
Loro ci hanno osservati, ci hanno studiati, ci hanno provocati, ci hanno ingannati, ci hanno demoliti, ci hanno denunciati. Noi siamo ancora qui, siamo diversi, ma siamo reali, e quell’idea di uno spazio autogestito dentro l’Università della Calabria è realtà, grazie agli studenti di allora e ai laureati di oggi, ai laureati di allora e agli studenti di oggi. La forza del Filo Rosso sta in questo continuo esercizio del racconto e della memoria, della critica e della maturazione, della resistenza e del balzo in avanti”.

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